La mia bolla è scoppiata

L’ho salutata la mia bolla, piccola scatola con piccole pillole antidepressive, che mi hanno accompagnato i primi giorni, necessarie a detta di tutti. Ma ora no, io non devo fuggire la realtà, la devo affrontare e vivere, nella consapevolezza di quanto sarà difficile. É così che voglio fare. Già vivrò una vita che non sarà più tale senza te, mio figlio, pensare di farlo allontanandomi da tutto quello che è intorno a me, non sarebbe nemmeno sopravvivere. Ora ho delle erbe a tranquillizzarmi, sono efficaci o forse è solo la mia testa che le preferisce, ma a me va bene così.

Riesco a contrastare questa dolorosa quotidianità, respirandone la disperazione nella convinzione che, comunque, non posso perdere il senso di tutto questo. Sarà probabilmente il lavoro di tutta la mia vita, senza soluzione di continuità, che mi accompagnerà fino alla fine, la mia. Ma dovrà essere così, perché la mia bolla mi aveva allontanato da tutto, ma anche da te, tesorone di mamma. Mi ripetono che non devo dimostrare di essere forte anche se è quello che appare, ma io sinceramente non lo sono, so di non esserlo. La vita terrena di mio figlio è finita per sempre a ventitré anni e mezzo, e ora sono a un bivio: vivere anche per il mio Emi, o lasciarmi andare.

Tra le due, ho scelto di vivere anche e soprattutto per mio figlio. Non sono forte, spesso la disperazione mi assale, lo stomaco lo sento stringersi talmente forte da farmi quasi vomitare le viscere. Ma in quei momenti penso che è normale, che non sono forte come mi credono e perciò è giusto vivermi anche questi istanti, che mi ricordano che sono umana, emozionale, fragile, disperata come ogni mamma che ha perso il proprio figlio. E tanto penso a loro, alle altre mamme come me, a metà tra terra e cielo, e penso a cosa staranno facendo, cosa staranno pensando, cosa staranno provando. E a come staranno cercando di affrontare tutto questo.

Penso alle mamme che hanno perso il loro bambino prima ancora di nascere, penso alle mamme che hanno perso il loro bambino in tenera età, o da adolescente, alle mamme che hanno perso il loro figlio già adulto, penso e mi chiedo cosa staranno vivendo. Io conosco la mia di condizione, di mamma che ha perso suo figlio nel fiore dei suoi anni. Emiliano aveva un futuro tutto da viversi, e da vivere insieme, che aveva appena iniziato ad annusare. Pieno di progetti, di sogni, di speranze, e tutto ciò lui lo aveva raccontato a me. Io, custode oggi del suo futuro, come lo aveva immaginato lui, e confidato a me. E questo, è ancor più doloroso della sua assenza. Mi chiedo se lo strazio è amplificato leggendolo anagraficamente. Se il dolore è direttamente proporzionale all’età nella quale il nostro bambino ci lascia per sempre, se conta se il futuro del nostro cucciolo è stato, da noi mamme, solo immaginato, è stato raccolto in eredità come nel mio caso, o addirittura se si è interrotto nel pieno svolgimento.

Non lo so, non ho risposte, posso solo ribadire che io mi sento tutore del futuro di mio figlio, che poteva essere per lui, e che ora potrà essere solo nei miei pensieri. Non so se sarò capace di fare tutto quello che vorrei fare, per lui e per me. Ci proverò, cosciente del fatto che sarà estremamente difficile. Mi dico che dovrò fare quello che a lui piaceva tanto, ma poi le mie certezze perdono autorità, lasciando spazio all’incertezza dolorosa che nulla sarà senza il mio Emi. È una giostra di pensieri contraddittori, che non mi lasciano verità ma solo la possibilità di vivere, attimo dopo attimo, nella speranza che il tempo sia prodigo e mi aiuti a rimettere ordine in questo dramma cosmico che ora è la mia vita.

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