Una dimensione parallela

Amavi il tuo lavoro, videomaker ti definivi per stare al passo coi tempi, filmavi e montavi la vita degli altri con una maestria superlativa, seppure da autodidatta. Eri bravo nel tuo fare, i tuoi lavori hanno sempre colpito nel segno. E io continuo a chiederti, nella tua capacità di riprendere la vita da angolazioni diverse, di insegnarmi a mettere a fuoco la mia vita, ora, di zoomarla e farmela vivere con inquadrature diverse, con sfumature differenti. Io ora non lo so fare, non ci riesco. La mia bolla è scoppiata, e con lei è scoppiata la consapevolezza che non sei più qui con me e per me. 
Iniziano prepotentemente a palesarsi le ombre della tua assenza, consapevole che è solo l’inizio.
Guardo le tue foto e i tuoi video, e le mie gambe diventano due mattoni, pesanti, che mi tengono ancorata a una realtà che vorrei fuggire, che non voglio vivere. Ti vedo sorridente nelle foto e torno a quei momenti, mi distruggo, lo so, ma non posso fare a meno di distruggermi. Ho iniziato a chiedermi perché, perché a noi, con la coscienza di non trovare una risposta, con la consapevolezza che un riscontro mai ci sarà. E che comunque non servirebbe a nulla. Sapere perché non cambierebbe il mio dolore, non affievolirebbe la mia disperazione.

Razionalizzo, e mi rendo conto che non è la risposta al perché è accaduto che cerco. Non doveva accadere, solo questo mi importa. Piango, nella convinzione che mai tornerò a sorridere completamente. Perché un pezzo della mia vita non c’è, ormai non più. Ora dovrò vivere il primo di tutto, arrancando al prossimo ventisette aprile, quando uno di tutto sarà vissuto. Ma è difficile, non vedo luce al momento, solo disperazione.
Ricordi, che si palesano accompagnati da fitte allo stomaco. Vorrei vomitare ma non ci riesco. Penso e annuso la tua stanza, piangendo una infinità di lacrime che mai avranno epilogo. Si, intuisco che le lacrime non hanno fine, e avverto nitida la certezza che mi accompagneranno per la vita. Mi accorgo che sono trascorsi giorni, e percepisco che il mio tormento di quell’istante si sta trasformando, palesandosi in tutta la sua crudeltà. Penso che, si, la mia bolla ha svolto il suo incarico nell’imminente, in modo onorevole ed esemplare, ma ora sono sola. Non c’è più lei a farmi da barriera al dolore, ora il dolore troverà strada libera nel mio cuore, si impossesserà di me senza sconti e senza condoni. Ma soprattutto senza pietà.

Sono sola a fare i conti con la mia eterna sofferenza, rendendomi conto che l’affetto di chi mi sta intorno non riesce a scalfire la mia angoscia, anche se scalda un po’ l’animo sofferente. Sola, in una culla che è un supplizio, ma dove dovrò abituarmi a vivere. Mi aggrappo a tutto ciò che è tuo, a volerlo vivificare, ma avverto che sono solo cose inanimate ma che mi portano a te. Guardo, tocco, annuso tutto, a volermi fagocitare con quella che è stata la tua realtà, la tua vita quotidiana, il tuo essere. A cercare un senso, quando sembra che nulla, ormai, ha più un senso. Mi sembra di entrare in un mondo nuovo, mi pare di conoscerti per la prima volta in quei momenti straziati dalla mia disperazione. È come se mai avessi vissuto la tua stanza se non dopo la tua perdita. È come se tutto apparisse per la prima volta. Mi accorgo che è così. Entrare nel tuo mondo senza te, è dover vivere una dimensione parallela con la tua assenza. Lo farò, ora chiedo solo del tempo.

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